Marc e Paola Sadler

Marc e Paola Sadler

Designer industriale

9. novembre 2016

Milano

Marc Sadler, designer industriale di fama internazionale, è cittadino del mondo: di origini francesi e nato in Austria, ha vissuto ed esercitato la professione in Francia, Stati Uniti, Asia e Italia. L’origine della sua specializzazione nel design dello sport risale agli inizi degli anni '70, quando mette a punto per l’italiana Caber (successivamente Lotto) il primo scarpone da sci in materiale termoplastico interamente riciclabile: un successo mondiale straordinario. Questo momento segna l’inizio di una lunga e fruttuosa carriera caratterizzata da collaborazioni con le più importanti multinazionali del settore; tra queste anche Dainese, per la quale disegna il famoso paraschiena divenuto parte della collezione permanente di design del MoMa di New York. Marc Sadler è un designer dal profilo poliedrico: prezioso è infatti il suo contributo in diversi settori della produzione industriale – dalle valigie ai mobili fino ai piccoli e grandi elettrodomestici. Quattro volte Compasso d’Oro ADI, ha ricevuto molti altri riconoscimenti internazionali di design. I suoi interessi più autentici sono la pittura e il disegno.

Milano, Sicilia, Parma: cosa significa vivere in Italia?

M. Milano è come la punta del compasso: ci si arriva per motivi di lavoro – francamente, non mi piaceva. Quando ho avuto l’opportunità di trasferirmi qui (via Savona 27 – un complesso industriale dove co-esistono nuclei abitativi e showroom, a due passi dagli storici canottieri di Milano sul Naviglio Pavese ndr.), io e Paola vivevamo a Venezia. L’idea era quella di avere uno studio a Milano, per ragioni di comodità. Milano era una città grigia, chiusa, non dinamica come Parigi.

P. Vivevamo lo stereotipo di quella Milano, poi ci siamo dovuti ricredere. A me piace: è una città nascosta, come nascosto è questo luogo.

M. In poco tempo da qui si può prendere l’aereo per andare ovunque.

P. La casetta in Sicilia, invece, è un nido affacciato sul mare, sulla punta più estrema dell’isola, poco distante dall’Africa.

Quando scatta la molla che fa cambiare indirizzo?

M. A me piace cambiare, a Paola invece no. Ho vissuto e lavorato in diversi paesi e mi piace pensare di potermi spostare nuovamente. La molla a trasferirsi è sempre il lavoro.

P. La molla è sempre in agguato: quando vivevamo a Venezia, Marc veniva spesso a Milano. E ora che siamo a Milano è il Nord Est a essere diventato meta frequente dei suoi viaggi.

Il Nord Est: mito o realtà quando si parla di design?

M. Nel Nord Est si trovano artigiani che hanno saputo trasformarsi in imprenditori mantenendo la professionalità di chi sa fare il proprio mestiere. E per me che trasformo la materia in oggetti di design questo aspetto è fondamentale.

Il valore aggiunto deriva quindi dalla capacità di superare il classico dualismo "tradizione versus innovazione tecnologica“?

M. Esatto, qui gli artigiani hanno la capacità di realizzare un buon prodotto industriale senza però perdere le qualità della materia, cercando, se necessario, anche soluzioni nuove per poter rimanere fedeli a questo approccio. Quando abbiamo un problema progettuale spesso penso a una delle officine del Nord Est.

P. Rispetto al passato, anche i veneti però si stanno chiudendo, un po’ come i brianzoli.

M. Esistono, però, personaggi eccentrici che sanno ancora avventurarsi sul prodotto. Sono stato ad esempio da Maurizio Riva, che sperimenta con la materia in maniera unica e creativa.

A Milano Marc Sadler e la moglie Paola hanno adottato una formula che avevano già sperimentato a Venezia, dove vivevano prima del trasferimento: casa e bottega. L’abitazione è a venti metri dallo studio.

Esiste ancora un movimento milanese? L’ultimo Salone del Mobile è stato molto criticato perché noioso.

M. Manca coraggio. Io direi che si può più che altro fare riferimento a un movimento Italia piuttosto che Milano, caratterizzato dalla capacità di inventarsi delle soluzioni che poi diventano prodotti di design. Altrove questa capacità non la si trova. Francesi e tedeschi sanno pensare a soluzioni nuove, ma la vera magia è qui, in Italia. E pensare che ci sono stati periodi della mia vita nei quali ho giurato a me stesso che non sarei mai più tornato in Italia, perché qui si fanno sempre le stesse cose. E invece poi ci sono tornato, perché se voglio fare certe cose non posso fare altrimenti.“

P. Il sistema Milano esiste: e siccome, fino a prova contraria, è un sistema di successo, penso che tutti quanti si stia uniti, se ne voglia far parte. Forse ci sono troppe riviste di design che si parlano addosso. In Italia c’è una sacra riverenza verso certe persone, certe aziende, ma pochi si interrogano su quale sia l’approccio giusto.

Come risponde Milano in materia di educazione al design?

P. e M. Il Mudec ci piace, così come abbiamo apprezzato certe mostre della Triennale, perché hanno cercato di informare ed educare – dalla storia di vite e bullone fino alla tecnica dell'intreccio originaria della Mongolia. Spazi a Milano ce ne sono, e anche tanti, forse però ci vorrebbe un po' d'aria fresca per quanto riguarda i curatori.

M. Se vado a Copenhagen vedo sempre gli stessi oggetti di design, perché lì il modo di pensare permea ogni cosa; in Francia si fa design con niente e i designer sono bravissimi a creare richiami al passato; in Germania è tutto molto strutturato. Tutto sommato l'Italia non mi dispiace: qui c'é rispetto per il savoir fair delle aziende.

Da dove si inizia a costruire una casa a quattro mani? (Tentennano a lungo, poi Paola ride)

M. Casa nostra non è pensata per essere la nostra copia. Eppure finisce per assomigliarci, perché rispecchia sempre quello che siamo. Detto questo, a me piace il disordine, il non finito, mentre Paola lo detesta, tutto deve essere simmetrico.

P. Così ci fai proprio sembrare la famiglia Brambilla…!

M. Non volevamo un mausoleo, ma un posto per noi, i nostri figli, il gatto...casa nostra è fatta di quelle cose che ci piace vivere nel quotidiano e avere vicino, è un riassunto di vita dove si mescolano oggetti ereditati da mia madre e dalla sua famiglia. Nella casa di campagna fuori Parma abbiamo un armadio di otto metri che si fa fatica ad aprire, eppure è bellissimo.

P. Casa nostra è sempre un rimaneggiamento di altre case e vite passate, di esperienze e storie che si compenetrano.

M. Questo tavolo dello studio ad esempio (lo storico USM Haller nero): nonostante abbia 30 anni e sia un po’ vecchiotto ancora mi piace, non lo butterei via per nulla al mondo.

La vostra casa che è stata pura folgorazione?

M. La casa in via Savona 97, senza dubbio! È stato amore a prima vista! Quando sono tornato a Venezia Paola mi ha sgridato perché avevo preso un impegno per una casa che non aveva visto.

P. A Venezia avevamo il nostro piccolo paradiso, con la nostra barchetta… e lui un giorno è arrivato, mostrandomi la foto di un rudere – perché c’è da dire che qui prima era tutto abbandonato e in cattive condizioni. E poi invece si è dimostrata una scelta valida, anche se il clima ora non è più quello di una volta.

M. Ci sono i tipi con la barba alla moda e il tatuaggio giusto.

P. All’inizio eravamo un gruppetto di designer, si facevano delle bellissime feste in giardino; poi hanno cominciato ad aprire i primi showroom di moda e a quel punto i prezzi sono saliti e l’atmosfera è cambiata. Qui siamo stati i primi ad avere figli. Nostra figlia, che adesso ha 20 anni, all'inizio era praticamente l’unica della sua età, mentre ora nel weekend sembra di stare in un villaggio di campagna.

“È un equilibrio delicato di molecole, come nella nitroglicerina: ci sono dei ruoli da rispettare.”

Pronto a spaziare dalle valigie ai mobili e dall’illuminazione ai piccoli e grandi elettrodomestici, Marc Sadler è stato pluripremiato con il Compasso d’Oro ADI, il Nobel italiano del design.

“È un equilibrio delicato di molecole, come nella nitroglicerina: ci sono dei ruoli da rispettare.”

Che conseguenze ha vivere e lavorare in due ambienti casa-studio così vicini?

M. Si continua a lavorare senza sosta: casa e bottega, appunto, ma a me piace, è molto pratico. Non subisco il traffico milanese.

P. L’aspetto negativo è che non c’è mai un vero distacco, perché si dice “vado in studio”, che è poi a soli 20 metri da casa.

M. Beh, lo è già comunque il fatto di lavorare insieme.

La condivisione della vita lavorativa in una coppia è una sfida, una chance o uno stimolo?

M. Tutte e tre le cose: tutte e tre positive e negative al tempo stesso. Significa andare a limare gli spigoli di entrambe le personalità.

P. Porta una condivisione e uno scontro profondi continui. Non litighi con il tuo capo: litighi con tuo marito per lavoro.

Però questa tensione ha portato solo a grandi cose…

P. Sí, perché secondo me la diversità radicale è fonte di grande ispirazione.

M. Permette di limitare i danni: se mi innamoro di progetti che non hanno vie d’uscita Paola mi corregge il tiro.

C’è un’armonia palpabile nella vostra vita lavorativa condivisa: qual è la ricetta vincente?

P. Forse perché io non sono designer.

M. Lei dice sempre che non è una designer. Mi fa piacere che si noti quest'armonia.

P. È un equilibrio delicato di molecole, come nella nitroglicerina: ci sono dei ruoli da rispettare.

M. Ci sono dei territori che non invadiamo. Se c’è qualcosa da scrivere c’è Paola, se bisogna disegnare ci penso io, poi ci confrontiamo.

P. Bisogna rispettarsi e sapere di non essere un one-man show, capire che ci sono cose che faccio meglio io e altre che invece fa meglio lui. Forse dopo molti anni ci stiamo riuscendo meglio.

In un'intervista così come in un progetto, dove indichereste il confine tra pubblico e privato?

P. Nei progetti l’aspetto privato è quello che non si riesce a manifestare all’esterno. I progetti sono sempre dei compromessi: il design industriale non è arte e non è nemmeno artigianato.

M. Il designer è al servizio di un’azienda il cui obiettivo è quello di promuovere se stessa e i propri prodotti, e magari riesce, con la propria personalità, ad aiutarla a farlo. Né io né Paola vogliamo trasferire quello che siamo e pensiamo sulle aziende: ognuna di loro ha diritto a sviluppare una propria risposta, e questa la si può trovare soltanto lavorando insieme.

P. Certi pensieri e opinioni non le si può applicare ai progetti e quindi rimangono patrimonio personale.

Come vi immaginate il futuro?

M. Come si direbbe in francese: "en dents de scie“, quindi alti e bassi continui. Dopo le vacanze avrei voluto vincere all’Enalotto e dire basta, invece sono reduce da una giornata con dei clienti per il prossimo Salone del Mobile ed ecco che si riaccende subito l’entusiasmo.

P. Lavorare con le aziende in questi ultimi anni è stato molto difficile: abbiamo assistito a progetti voluti da ambo le parti che però son stati bloccati per via della crisi. Per poter fare il nostro lavoro come crediamo vada fatto bisogna poter fare ricerche, sperimentare…

Arriverà il giorno in cui direte au revoir?

M. Vorrei avere più tempo da dedicare alla pittura. Per ora è una mia grande passione, poi fotografo moltissimo…spero un giorno di potermi dedicare solo a questo. Il mio cervello ha sempre lavorato in due modi: razionale e irrazionale al tempo stesso. Se nego una parte di me, questa stessa parte mi verrà a mancare.

P. Milano e Venezia ne sono la metafora perfetta: quando vivevamo a Venezia venivamo a Milano, mentre ora facciamo esattamente l’opposto. È vero che c’è l’idea, un giorno, di dire basta.

M. Mah…io non credo dirò mai basta.

Grandi finestre a tutta altezza caratterizzano la zona giorno al piano terra: un arioso open space che racchiude area relax, zona pranzo e cucina a vista; antiche colonne in ghisa testimoniano il passato industriale del complesso in cui si trova la casa.

“Casa nostra non è pensata per essere la nostra copia. Eppure finisce per assomigliarci, perché rispecchia sempre quello che siamo.”

Marc Sadler e la moglie Paola hanno progettato il loro spazio a quattro mani. «Non volevamo un mausoleo, ma un posto per noi, i nostri figli, il gatto...casa nostra è fatta di quelle cose che ci piace vivere nel quotidiano.

Un grazie speciale a Marc e Paola Sadler per averci aperto le porte di casa propria. Per scoprire di più sui progetti di Marc vi invitiamo a visitare il suo sito web.

Questo portrait è stato prodotto dal magazine internazionale Freunde von Freunden. Scopri più elementi di arredo USM per la tua casa e il posto di lavoro qui.